Il fuoco di Prometeo
L’opera artistica di Mario Termini
di Pino Bevilacqua
Disvelare il mistero
Viviamo in un’epoca in cui dilaga un’insopportabile sovrabbondanza di parole e di cose. Per restare nel campo dell’arte, quante sono le opere che nonostante una certa bellezza finiscono col diventare noiose e prive di qualsiasi appeal? Chiese, palazzi, case private, musei sono pieni di quadri, disegni, sculture, che di là del valore formale deludono, perché manca loro l’essenziale: l’originalità e il mistero, qualità che appartengono al mondo dei sogni, intessuti con i fili d’oro dell’immaginazione. Il compito di un artista non è, però, quello di distorcere la realtà, bensì di svelare e dare respiro alle immagini che urgono dentro e salgono dal profondo della sua anima. Il gesto iconico - e di prospettiva - di Mario Termini a ciò tende principalmente, senza indulgere più di tanto all’esagerazione del formale, badando piuttosto alla policromia della materia che egli lavora con le sue mani d’artefice.
La sua vocazione più ardita è di “costruire idee intellegibili” che facciano da viatico alla fantasia necessaria per approdare in mondi ancora inesplorati. Ognuna delle sue numerose opere contribuisce a tracciare una complessa cornice concettuale, che affonda le radici nelle tecniche ereditate dai maestri del Rinascimento, per proporre in chiave contemporanea temi di vita personale e sociale di particolare pregnanza.
“Tu vedi un blocco, pensa all’immagine: l’immagine è dentro, basta soltanto spogliarla…” facile a dirsi ma di altrettanta difficile realizzazione. Sono queste le parole che hanno guidato il genio di Michelangelo, cui oggi pochi artisti riescono a ispirarsi, se e quando trovano il coraggio di osare e di mettere a frutto le proprie capacità senza la presunzione o la paura del fallimento. È il caso di Mario Termini, scultore siciliano molto conosciuto e di forte personalità, che non ha bisogno di magniloquenti presentazioni e merita di essere apprezzato attraverso l’esplorazione diretta e non mediata delle sue opere.
Come tutti i grandi scultori Mario Termini conosce la materia che plasma, intuendo anzitempo quali sembianze assumerà l’opera finita che poco risente della sua volontà: egli, in fondo, non fa altro che rendere manifesto ciò che era invisibile in quegli aggregati di pietre, di legno, di bronzo sui quali s’ingegna. È la colpa di Prometeo, che ruba il fuoco agli dei.
Oltre all’originalità, è il mistero che un grande artista dovrebbe privilegiare, quel mistero che a volte egli si vede balenare davanti agli occhi e che al momento propizio decide di rappresentare per costringerlo a rivelarsi, ma evitando che s’incarni nell’ennesima raffigurazione convenzionale troppo legata al pensiero logico, piuttosto è fondamentale che abbia riuniti in sé i più grandi contrasti, inconciliabili nel mondo: gioia e dolore, nascita e morte, odio e amore, bontà e malvagità. La vera opera d’arte non è, dunque, il frutto di “un pensiero”, né si può dire tout court sia un’invenzione dell’artista. Egli l’ha veduta in sogno, una forza arcana gliel’ha dittata dentro e da quel momento essa vive in lui perché l’ha ripetutamente vagheggiata e sognata.
L’arte e la vita
Ho conosciuto per caso Mario Termini, tramite dell’incontro è stato Luigi Previti, amico mio e grande pittore. E’, quindi, per caso che io - non critico d’arte ma semplice appassionato di letteratura e di poesia - stia scrivendo queste poche note sulla sua attività: un modesto contributo alla sua notevole opera che spazia dalla pittura alla scultura. Poiché il mio ruolo nella società è di essere uno scrittore e poeta “non laureato”, cosa che non mi sta stretta, lo farò con il mestiere di vedere le cose poeticamente. Un occhio non necessariamente da critico d’arte ma neppure eccessivamente distratto o inetto, già al suo primo contatto con la produzione di tele e sculture di Mario Termini, difficilmente non si accorgerebbe di un filo conduttore che le unisce. La delicata soavità dei volti, le intriganti figure cui danno luogo la “mescolanza sapiente” dei colori nei quadri, mani fini e virginee che si tendono, occhi che brillano al disotto di una fronte pura e serena, labbra atteggiate alla gioia o al dolore: tutto questo è così vivo, così bello, così profondo e animato, come raramente oggi si vede.
Ecco perché non ci si “sazia” davanti a un’opera d’arte di Mario Termini, che non vuole di certo infondere inquietudine in chi guarda e ammira, bensì scoperchiare un vaso ricolmo d’interrogativi tralasciati per chissà quanto tempo, nell’illusione che le cose possano risolversi da sé. Vale invece l’esatto contrario. Solamente affrontando di petto le sfide che questo mondo sardonico imbastisce, si può giungere alla quiete tanto agognata, perché ogni sfida vinta tempestivamente evita l’impatto con la successiva, con cui sarebbe ben più difficile cimentarsi. Al cospetto d’ognuna delle fatiche artistiche di Mario, si è costretti a fermarsi e riflettere anche quando le tele e le sculture visionate possono superficialmente apparire “leggere”.
Ed è proprio a iniziare da queste riflessioni, che come in un gioco di rimandi, mi è venuta in mente, spero, un’appropriata parola per definire il suo percorso artistico: un cammino esortativo! Chi in questa vita non vuole essere un’anima morta, abbracci una qualsiasi passione, se vuole che la prima tempesta dell’esistenza non lo spazzi via come un fuscello, c’insegna Mario.
Commetterebbe il più grave degli sbagli un individuo - l’artista compreso - se raggiunta una determinata tappa del proprio sentiero terreno cedesse alle sirene del soddisfacimento individuale infischiandosene della sorte del mondo; prerogativa quest’ultima di quelli che scioccamente vedono solo ciò che desiderano, incuranti del destino dell’anima spirituale. La convinzione del successo facile si regge su un terreno franoso e può implodere come un castello di sabbia lasciando inutili polveri, Mario c’insegna altresì! Meglio allora, anche se si pasce in uno stato di benessere materiale, sarebbe continuare ad alimentare quel benessere invisibile che la pratica di un’attività espressiva può dare a un uomo, cosciente di tenere acceso, a suo modo, il fuoco di Prometeo.
Di là della siepe
La natura è armoniosa e completa, ed è quando l’uomo manca di unità che il mondo rischia di perire. I profumi, i colori, i suoni rispondono agli echi di desiderio e perfezione dell’origine. I momenti più belli della vita sono quelli che accendono un percorso insieme: lentamente fiorisce, lentamente matura la consapevolezza di un artista. Coltivare il senso di appartenenza al genere umano è anch’essa un’arte segreta. L’amore, non l’io ipertrofico. Occhi, mani, labbra, battiti del cuore, respiri profondi, abbracci calorosi, incontro di mani e di anime. Unità nella diversità, con ognuno dei nostri compagni di viaggio. Ma guai a illudersi che l’artista ha in tasca la verità.
L’arte è una bella cosa, ma non è tutto, superiore a essa è lo Spirito, che spinge l’uomo a riunirsi col “Grande fuoco” dal quale un giorno senza tempo si è staccato. A che pro, quindi, rendere le proprie mani sempre più abili? In tanti maestri si può vedere, dove a volte essi vengono traghettati: alla celebrità e al successo, al denaro e alla vita agiata, ma anche a un inaridimento di quei sensi interiori, ai quali soltanto è permesso di avvicinarsi al mistero.
E’, allora, un inutile orpello l’abilità? No! Di certo no, perché essa conduce alla realizzazione di leggiadri e pregevoli manufatti, ma l’oro che brilla in un campo di grano a giugno, il sussurro del mare che si frange sugli scogli, il sorriso di un bimbo che sorride felice di essere, le nuvole che corrono spensierate in un cielo turchino, sono infinitamente più belli, più vivi, più deliziosi di tutta una sala piena di opere d’arte.
Ed è anche tutto questo che a ben pensarci un grande artista dovrebbe sostenere, attingendo a piene mani dal candore e dall’ingenuità dell’infanzia, “quell’isola di grazia e di gioia che rimane sempre viva in ciascuno, e che continua, nonostante il tempo, a rappresentare il caldo grembo dei sogni e degli incubi che sono l’origine di qualsiasi sentimento e creazione”.
Quanto grano ha mietuto Mario Termini facendo arte durante la sua lunghissima carriera, poiché solo i poeti e gli artisti hanno la possibilità di svelare il mondo nella sua coerenza più intima. In loro la lingua fa a meno della storia, rinuncia al pensiero logico più rigoroso, punta sul pensiero intuitivo e apre un varco e una comprensione che è prossima alla natura, all’essenza di se stessi e alla realtà così com’è e non come illusoriamente appare. Non è forse questo il dono più grande che un artista può farci?
Grazie, saggio Mario, grazie per la tua instancabile opera, grazie per le tue arti visive in cui s’intravedono baluginare le ardenti faville del fuoco di Prometeo!